Tania Zucchi se n’è andata.
INCONTRO CON NADIA TERRANOVA di Tiziana Marchese
“In mezzo all’orrore spuntava in me un’inaspettata fiducia
nei giorni a venire, perché avrei potuto inventare me stessa”
[Trema la notte- N.Terranova]
Saggio musicale di fine anno a.s 2022/2023
La S.V è invitata al Saggio musicale di fine anno scolastico degli studenti a indirizzo musicale Scuola secondaria di primo grado che si terrà venerdì 26 maggio alle ore 19.30 presso la chiesa Santa Caterina.
Circolare n.278 -PROGETTO INCONTRO CON L’AUTORE: NADIA TERRANOVA “TREMA LA NOTTE”
Per i dettagli dell'organizzazione e modalità vedi circolare in allegato.
VIOLA E IL BLU – A CONFRONTO CON MATTEO BUSSOLA di Tiziana Marchese
<<Come ci si sente ad essere sposati ad un genio?>>
<<Non so, chiedetelo a mio marito>>
(Marie Curie ad un giornalista)
“Nel viale del paesino in cui abito hanno piantato nuovi alberelli i cui tronchi sono stati circondati da gabbie di legno perché crescano diritti. Uno di questi alberelli si è piegato, crescendo fuori dalla gabbia.” È questa la bella immagine che ha ispirato la metafora della piantina storta, uno dei temi di Viola e il blu da cui ha preso avvio l’incontro con Matteo Bussola, autore del romanzo edito da Salani adottato quest’anno nelle classi quinte scuola primaria e prime scuola secondaria per il progetto Incontro con l’autore.
La piantina che prende una direzione tutta sua, trovando una via di fuga dalla gabbia, suggerisce l’idea che non esista una direzione più giusta o preferibile alle altre. Fuor di metafora, le persone che, assecondando le proprie inclinazioni, trovano il coraggio di discostarsi dalle aspettative altrui che vorrebbero imbrigliarli, hanno operato la sacrosanta scelta di tradire gli altri per non tradire se stessi.
Sollecitato dai ragazzi a parlare di com’era Matteo Bussola da ragazzo, egli confessa di essere stato un adolescente “non rispondente alle aspettative”; unico maschio in una classe di danza formata da 49 femmine, Bussola ricorda di essersi esposto alla derisione dei coetanei ma anche di essere andato fiero di aver seguito le proprie inclinazioni perché in fondo, “diventare grandi significa diventare se stessi, vuol dire sviluppare il coraggio di deludere le aspettative degli altri.” Se ci pensiamo, il vero amore genitoriale – continua Bussola- si misura con la capacità di amare un figlio anche quando non ci assomiglia e non ci rispecchia, ha fallito e ha tradito le speranze riposte in lui.”
La critica agli stereotipi di genere è al centro di una seconda batteria di domande. Partendo dal quesito di Annalaura Anastasi che chiede se davvero tra maschi e femmine non ci siano differenze, Bussola sgombra il campo dagli equivoci. Sappiamo che la psicanalisi junghiana e lacaniana tende a tracciare un confine netto fra le caratteristiche psicologiche attribuibili al genere femminile e quelle considerate tipiche del maschile. Sicché l’archetipo femminile è rappresentato da caratteristiche quali l'emotività, l’accoglimento, la recettività, la cura, mentre l’archetipo maschile presenta tratti legati alla forza, al dominio, alla razionalità e al controllo emotivo. Tuttavia, lo stesso Jung non può fare a meno di cogliere come nel maschio si annidi a livello inconscio l’Eros che è il principio dell’anima, e nella femmina l’animus che corrisponde alla sua parte maschile. Il confine si fa perciò meno netto e, benché il dualismo resti insuperato, si accoglie l’idea di una compresenza in ciascuno di noi di caratteristiche maschili e femminili in misura e proporzioni variabili. Gli studi più recenti fanno dipendere sempre più l’identità sessuale da fattori culturali e sociali, ossia dal modo in cui siamo stati educati, dai modelli di riferimento familiari, dagli stereotipi di cui è intrisa la nostra cultura. Quale che sia la verità di queste speculazioni di ordine filosofico, ciò che conta è che uomini e donne, a prescindere dalle vere o presunte differenze di genere, hanno uguale dignità e pari valore. Infatti, essere eguali non vuol dire essere identici, significa piuttosto godere degli stessi diritti e di pari opportunità, significa soprattutto essere liberi di accedere ai territori che ci sono più congeniali, libertà che per l’uomo consiste nel dare finalmente espressione a quella sfera emotiva che gli è stata preclusa dalle convenzioni sociali che gli hanno imposto una sorta di autocensura, e per la donna poter manifestare finalmente il proprio maschile, superando le restrizioni storiche che l’hanno relegata alla dimensione privata del focolare domestico perché così hanno deciso gli uomini per mantenere la supremazia sull’altra metà del cielo. Se ci pensiamo, il rendere più fluido e liquido il confine tra maschile e femminile ha il vantaggio di condurci ad una società più aperta e tollerante, più pronta ad accogliere ed apprezzare la ricchezza della diversità, più libera dalle convenzioni sociali e dai pregiudizi che, come una camicia di Nesso, soffocano la nostra vera natura e imbrigliano le personalità come fa la gabbia di legno intorno al tronco della pianta. Ciò che a Bussola preme è dimostrare che un uomo che accoglie il proprio femminile non perde in virilità ma si arricchisce di una componente emotiva che lo rende una persona migliore. La stessa cosa vale per le donne, che, dopo secoli di repressione, hanno finalmente liberato tutto il loro potenziale, integrando nel femminile doti come l’assertività, l’attitudine al comando un tempo ritenute esclusivo appannaggio degli uomini. Bussola ricorda che il più grande cruccio di suo nonno fu quello di non aver abbracciato i propri figli poiché ai suoi tempi “gli uomini non potevano permettersi la tenerezza”. Subire il condizionamento “sociale” equivale, perciò, a reprimere una parte di noi che abbiamo tradito e che, nel bilancio della vita, darà luogo a rimpianti. Al contrario, la rigida demarcazione tra il maschile e il femminile ha prodotto una serie di luoghi comuni con cui facciamo i conti più spesso di quanto pensiamo. Purtroppo, per ovvie ragioni storiche, sembra che a fare le spese degli stereotipi di genere siano soprattutto le donne. Basti pensare a proverbi come donna al volante pericolo costante, chi dice donna dice danno o ad espressioni come il sesso debole che ci dicono che la nostra cultura è ancora pregna di sessismo e di pregiudizi duri a morire. Bussola richiama l’attenzione sulla più grande astronauta italiana, Samanta Cristoforetti, dicendosi infastidito dalla domanda che le viene abitualmente rivolta quando parte per i suoi viaggi interstellari: “Chi si occupa dei suoi figli?”, mettendo in risalto che a un uomo nessuno si sognerebbe di rivolgere questa domanda, poiché si dà per scontato che la dimensione dell’accudimento non solo sia prerogativa psicologica della donna, ma che tocchi “di statuto” alla donna. Analogamente, ai colloqui di lavoro, alle donne e solo alle donne viene chiesto se abbiano intenzione di avere figli, così come le vittime di violenza sessuale subiscono spesso una vittimizzazione secondaria quando si trovano costrette a dover dimostrare di “non essersela andata a cercare”.
Il femminismo non ha inteso azzerare la diversità biologica negando le diversità di genere, ma combattere le iniquità storiche, accordando alle donne gli stessi diritti di cui godono gli uomini; così facendo, ha prodotto una nuova configurazione delle mansioni, una interscambiabilità dei ruoli che contestualmente ha permesso la liberazione anche degli uomini, che pure faticano ancora ad adattarsi al cambiamento epocale innescato dalla emancipazione femminile. Per fortuna, ciò non vale per tutti e lo stereotipo si sta progressivamente superando. Oggi- dice Bussola- gli uomini rivendicano il diritto di essere presenti nell’accudimento dei figli. Sempre più padri vanno a prendere i figli a scuola, intervengono al ricevimento dei docenti, condividono con le donne la cura della prole. Nulla di strano se oggi un bambino, travolto da un’emozione, si lasci andare al pianto senza il timore di sembrare una “femminuccia” o se una bambina si orienti verso i giochi “da maschiaccio” e preferisca il calcio alle bambole; allo stesso modo non è più considerato “strano” un padre che cambia i pannolini al figlio o che si alterna alla moglie nelle veglie notturne dei lattanti. Tuttavia, persistono nel linguaggio, che è una formidabile spia del pensiero, tracce marcate di una cultura sessista. Il termine “mammo” usato per lo più in tono sprezzante ed irrisorio, ne è un esempio e tradisce la resistenza di una concezione per cui “tutti i lavori di cura siano di pertinenza della donna”. Resistenza che si cela anche nei lapsus freudiani come nell’espressione “ti ho fatto i piatti” dove quel “ti” riafferma a livello inconscio la rigida divisione dei ruoli, retaggio di una società patriarcale.
Gli ostacoli ad una effettiva parità di genere e al superamento degli stereotipi stanno “nel retropensiero che agisce ancora in modo forte, senza che ce ne accorgiamo.”
“Ma allora – chiedono Giorgio Maiolino (5^A) e Giulio Muscolino (1^B) - come si sconfiggono gli stereotipi?”
“Lasciando che i bambini e le bambine siano se stessi” - risponde Bussola. I bambini, infatti, non nascono con idee preconfezionate. Il primo luogo dove si apprendono i comportamenti è la famiglia e nella famiglia non dovrebbero esserci ruoli esclusivi, ma ciascuno dovrebbe dare il proprio contributo in base alle proprie attitudini.
A Roberto Aloi e Chiara Petitto di 1^G che chiedono dove trovare il coraggio per essere se stessi in una società che ci vuole forti, vincenti e rispondenti a canoni imposti, Bussola risponde che il coraggio si trova “cambiando punto di vista”. Dovremmo pensare che “al mondo non esiste nessuno come noi. Dovremmo dare ossigeno alla nostra unicità, farla fiorire perché è la risorsa più grande che abbiamo e il contributo più autentico che possiamo portare nella nostra e nella vita degli altri.” Per questo motivo dovremmo dare accoglienza anche alla nostra fragilità che non è un disvalore né un segno di debolezza ma, al contrario, è indice di forza e di coraggio ed è una virtù tra le più preziose perché le crepe che sono presenti in tutte le cose sono - per dirla con Leonard Cohen- la feritoia attraverso cui si fa strada la luce.
Anche la parola scusa, caduta in disuso in una società in cui siamo tutti portati a demonizzare la controparte e ad attribuire le colpe agli altri senza riconoscere la nostra parte di responsabilità, è una parola importante, un cardine intorno a cui si può generare un cambiamento antropologico.
Che cosa l’ha spinto a scrivere di questi argomenti?- chiedono alla fine dell’incontro gli alunni di 1^C e 1^F. Bussola risponde che le molle che personalmente lo spingono a scrivere sono due: l’amore verso qualcosa e la rabbia. Quest’ultima è un propulsore straordinario perché scrivendo “ci si auspica di trovare una strategia per disinnescarla”.
I nostri ragazzi, ancora in cerca di una identità, attraverso le domande rivolte a Bussola, hanno espresso con grande acume il conflitto adolescenziale tra la libertà di essere se stessi e il bisogno di conformarsi per essere accettati.
Siamo convinti che la lettura di questo libro e il dialogo con l’autore abbiano fornito loro un valido sostegno nel difficile cammino verso la costruzione dell’identità e la riappropriazione di se stessi.